Il Retail Manager può influenzare il clima e le modalità di relazione, generando orientamento al servizio e ai risultati. Come? Partendo da una profonda consapevolezza del proprio ruolo, può influenzare e ispirare i propri collaboratori verso il raggiungimento degli obiettivi.
Questa volta voglio parlare dello Store Manager rivolgendomi al Retail Manager. Lo faccio partendo dall’assioma che il ruolo dello Store Manager è strategico e che la sua valorizzazione può determinare quel salto di qualità necessario agli splendidi, emozionanti, affascinanti store, che le aziende realizzano per produrre i risultati attesi. Risultati che possono essere prodotti, e garantiti nel tempo, attraverso le competenze, le capacità, lo stile di vendita agito nel quotidiano dagli attori di uno store, Store Manager e Store Seller, che diventano agenti di cambiamenti altresì impossibili.
Ed è qui che entra in scena il Retail Manager che, essendo in buona parte responsabile operativo dei risultati degli store, può influenzare il clima e le modalità di relazione, generando orientamento al servizio e ai risultati, di tutta la filiera Retail. Come? Partendo da una profonda consapevolezza del proprio ruolo, realizzabile affrontando alcune questioni determinanti: cosa fa per influenzare il comportamento dei propri collaboratori? Come ispira in loro la voglia e la dedizione al raggiungimento degli obiettivi? Qual è il suo stile? Cosa ottiene? Quanto ne è consapevole?
L’ingrediente principale è riuscire ad Ispirare
Prendendo ispirazione da un film che parla di un personaggio eccezionale e di caratura mondiale, propongo alcuni spunti che possono aiutare a rispondere a queste domande. Il film è Invictus di Clint Eastwood, in cui si racconta un periodo della vita di Nelson Mandela molto particolare.
Dopo 27 anni di carcere, vinte le elezioni, decide di investire molto nel rugby, sport inviso ai neri ma molto amato dai bianchi. Un’iniziativa senza alcuna certezza di risultato che lo esponeva ad un grande rischio, quello di perdere il supporto della sua popolazione, di chi lo aveva votato.
Ad ispirare questa sfida l’idea che il rugby potesse rappresentare un segnale di apertura nei confronti dei bianchi e, in conseguenza, potesse costituire un’opportunità di integrazione. Con grande determinazione, sfruttando anche l’opportunità data dal fatto che i successivi mondiali si sarebbero giocati proprio in Sudafrica, disegna una strategia orientata verso un’alleanza con il capitano della squadra di rugby, che diventerà la vera leva del successo.
In che modo?
La soluzione più logica sarebbe stata quella di convocarlo e dargli un ordine: “Vinci il mondiale!! E’ importante per il paese”. Troppo semplice e forse banale. Mandela invece decide di lavorare in chiave ispirazionale. Lo convoca e, mostrando una grande capacità comunicativa, si alza per andargli incontro, si mostra interessato al suo stato di salute dimostrando anche di essersi informato e risponde alla sua collaboratrice valorizzandone il contributo agli occhi dell’ospite; poi prosegue mettendo in risalto l’importanza del ruolo del Capitano: “tu hai un lavoro molto difficile, il capitano degli Springboks”.
Il suo interlocutore, chiaramente spiazzato e sorpreso, tenta di giustificarsi “niente in confronto al suo”.
E’ a questo punto che Mandela decide di introdurre l’argomento dell’incontro, utilizzando una delle chiavi filosofiche della leadership: “tu come ispiri la tua squadra a dare il meglio?”. Il confronto prosegue seguendo la scia dei toni ispirazionali che offrono, ad entrambi, l’opportunità di confrontare esperienze e vissuti molto diversi e distanti, ma che possono avvicinarsi (“dobbiamo tutti cercare di superare le nostre aspettative”) verso un punto comune che non viene mai dichiarato apertamente.
La strategia ci appare vincente quando il capitano, tornato dalla moglie, le dice: “credo che voglia che vinciamo la coppa del mondo”. Egli ci appare sicuramente stupito, ma anche profondamente ingaggiato.
Com’è andata a finire ce lo racconta la storia.
Il rapporto fra Pienaar e Mandela darà inizio a una serie di eventi che rafforzeranno il morale degli Springboks (reduci da un lungo periodo di sconfitte) e li condurranno fino ad una insperata vittoria in finale contro i temibili All Blacks.
Il successo della nazionale diventerà il simbolo della grandezza della neonata “Rainbow Nation”.
Quello che mi ha colpito in questa scena e in tutto il film è stata la chiarezza e la straordinarietà del messaggio: aiutare l’altro a trovare in sé le energie e la voglia di mettersi in gioco per il raggiungimento degli obiettivi, partendo dalla coerenza tra agito e dichiarato… e l’altro può essere chiunque!
Come il Retail Manager può ispirare i propri collaboratori?
Ritornando sul nostro terreno di gioco, il Retail Manager può diventare l’ispiratore dei propri collaboratori (Area Manager e Store Manager), agendo la sua leadership e il suo carisma, aggiungendo ai classici schemi manageriali più abituali (attribuire obiettivi, argomentarli il minimo possibile e aspettarsi che vengano raggiunti i risultati attesi solo in funzione dei ruoli e delle responsabilità) comportamenti da coach per creare le condizioni per una maggiore partecipazione, che solleciti la parte emozionale e motivazionale, che orienti le energie dei propri collaboratori, faccia venir voglia di mettersi in gioco e a cascata attivi tutta la filiera fino ai Retail Store Seller.
Propongo qui di seguito una formula che credo possa dare una dimensione concreta al ragionamento:
C:C=C:C
ovvero
il Capo sta al Collaboratore come il Collaboratore sta al Cliente
Le probabilità che il Cliente finale usufruisca di una customer experience unica, indimenticabile, tanto da fargli desiderare di tornare a viverla, saranno molto più alte se verranno precedute da situazioni che riescano a far vivere anche ai Retail Store Seller un’esperienza simile.
Il film ci propone questa trasformazione continua, resa possibile dall’influenza positiva: Mandela si offre come esempio di relazione con un collaboratore e, a sua volta, il capitano degli Springboks saprà utilizzare il messaggio con i propri “collaboratori”/giocatori fino al raggiungimento del risultato sperato.
Con la Leadership ispirare i propri collaboratori e influenzare i loro comportamenti, con il Coaching generare partecipazione e orientamento ai risultati.
Una grande responsabilità per il Retail Manager.
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lo sport è sempre una costante ( quasi una musa ) che incastoni come esempio, come prodromo, nei tuoi coaching.
mi piace.
più spesso dovremmo attingere alle discipline agonistiche per trarre spunti da applicare nel lavoro.
e nella vita.
qui mi esimo dal commentare; il mio ruolo è di store manager non di retail manager, tuttavia posso dire liberamente che quanto scrivi ben si applica al capo che mi è dato avere; un uomo che ripete spesso che per poter essere vincenti occorre superare le proprie aspettative e che insegna da lontano. seppur nella presenza costante, instancabile dello spirito e del cuore.
gli passerò di certo il link.
grazie per la lettura che è stato insegnamento anche per me.
Manù
Ciao Francesco,
ho condiviso questo tuo coaching virtuale con i miei ragazzi, m i sembrava opportuno ed interessante farlo.
questo è il frutto di come Ilaria, laureanda in matematica e brillante braccio destro, ha (ri)elaborato la tua teoria matematica sul collaboratore, capo e cliente.
te la passo perché, seppur avvalorando la tua tesi, potrebbe scaturire ulteriori considerazioni.
a presto.
Manù
” Capo : collaboratore = collaboratore : cliente
Che diventa:
(Collaboratore )^2 = capo * cliente (***)
Possiamo sostituire
CLIENTE = CAPO : COLLABORATORE (poichè il cliente è il risultato di come il capo ha formato i propri collaboratori )
Riscriviamo quest’ultima capo = cliente *collaboratore ovvero collaboratore = capo : cliente
Andiamo a sostituire in (***)
(CAPO :CLIENTE)^2 – CAPO * CLIENTE = 0
CAPO ^2 : CLIENTE ^2 – (CAPO * CLIENTE ^3 ) :CLIENTE ^2=0
Raccogliendo e semplificando ho che
CAPO – CLIENTE^3 = 0
(chiaramente il collaboratore il capo e il cliente hanno valore 1 pertanto le potenze non influiscono)
CAPO = CLIENTE “
È vero. Mi rendo conto che i post scritti sono ad oggi hanno avuto una predominanza di riferimenti sportivi. Credo sia conseguenza di almeno due aspetti.
Lo sport professionistico è frutto di fatica, impegno, volontà, disciplina. Per raggiungere risultati importanti occorre investire, crederci e saper accettare la sconfitta come un punto di ripartenza, sapendo imparare dalla lezione ricevuta. Occorre imparare ad analizzare la propria prestazione, prima che i propri risultati.
Lo sport è emozione. Qualunque evento sportivo riesce a trasferire emozione, se si riesce ad andare oltre al singolo gesto. Se si riesce a cogliere l’investimento necessario per raggiungere una vittoria sudata, con il suo fascino unico e coinvolgente.
Credo che rispecchi molto da vicino la realtà di uno Store. Essere un professionista del Retail significa impegno, disciplina, ascolto, di sé e dell’altro, significa capacità di analisi delle proprie prestazioni.
Grazie per la riflessione suggerita.
Trovo affascinante il fatto di poter far convivere in una stessa realtà la tua capacità di osservazione e valorizzazione, la capacità del tuo capo di ispirare e sostenere, anche da lontano, e la tua collaboratrice (complimenti a te Ilaria) che riesce a valorizzare e personalizzare un’idea proposta.
È una grande cosa sapere che esistono realtà come la vostra.
Ciao Francesco,
è una piacevole emozione scrivere per la prima volta sul tuo blog!
Innanzitutto ti ringrazio per gli innumerevoli spunti che traggo dai tuoi post per lavorare sull’efficacia dei miei comportamenti in store.
In merito al tema “ispirazione” mi sento di aggiungere che spesso i successi individuali e di squadra, sia in ambito sportivo sia in ambito lavorativo, sono determinati non solo dall’insieme delle competenze a disposizione, ma anche e soprattutto dalla convinzione di realizzare il successo stesso. Il film “Invictus” ci racconta proprio questa storia, la storia di una squadra tecnicamente meno forte di altre, ma decisamente più ispirata e determinata nel raggiungere il proprio obiettivo. Direi che Mandela abbia ispirato nel capitano la convinzione di potercela fare, e il loro primo incontro non è che la prima tappa di un percorso “in crescendo” verso la consapevolezza di poter raggiungere il successo. Ritengo che nella realtà dello store questa convinzione debba essere trasmessa dallo Store Manager sia a livello individuale attraverso il coaching sia a livello di team con attività di team building e riunioni motivazionali nelle quali la presenza del Retail Manager può aiutare ad alzare il livello di coinvolgimento dei singoli membri della squadra.
I recenti mondiali di calcio ci hanno raccontato molte storie individuali e di team dove la condizione mentale e la convinzione hanno giocato un ruolo determinante nel risultato ottenuto. Ti mando via mail una foto che racconta una di queste storie… immagino tu sappia come è andata a finire…
se vuoi condividerla sul blog mi farà piacere
Grazie per questo spazio!
Grazie Alex. Hai inaugurato il sito ed i post con un contributo molto interessante. Mi fa piacere che tu possa trovare spunti interessanti. Coerente con l’obiettivo del blog. Rispetto alla tua sollecitazione sull’ispirazione condivido tutto. Anche il nesso che film e store. In particolare in questi momenti commerciali, decisamente impegnativi rispetto agli obiettivi economici. Molto interessante la connessione anche con la foto. Ti ringrazio per avermela inviata via email. Purtroppo non riusciamo per il momento a pubblicarla. Effettivamente il riferimento a Messi (capitano ufficiale dell’Argentina, un po’ in difficoltà nel suo ruolo) e Mascherano (capitano e leader in campo!!!!!) la dice lunga sulla differenza tra chi ha un ruolo attribuito e che riesce a far accadere senza ruolo “aziendale”.
Credo ci sia lo spunto per un futuro post. Vedremo.
Ciao Francesco,
tocchi un punto, quello del significato e interpretazione dei ruoli, al quale sono particolarmente sensibile, come ben sai!
L’immedesimarsi troppo nel proprio ruolo aziendale perdendo di naturalezza e “umanità”, rischia di creare una barriera nelle relazioni interne di qualsiasi team, impedendo una comunicazione più diretta, che invece potrebbe creare le condizioni per collaborazioni proficue.
E’ forse il caso di Messi, che probabilmente non riuscendo a sentirsi all’altezza delle aspettative legate al suo ruolo, non è poi riuscito ad essere di supporto per la propria squadra nel momento decisivo.
Mi farebbe piacere approfondire con te il tema dei ruoli e di come viverli in maniera efficace verso gli obiettivi, e allo stesso tempo serena e soddisfacente.
Grazie come sempre per questo spazio.
Ciao Alex, il tema che sollevi mi tocca particolarmente. Credo che il problema principale sia l’interpretazione e l’uso che facciamo del nostro ruolo, sul lavoro come nella vita personale, e non tanto il conflitto tra ruolo e naturalezza.
Intendo dire che l’identità professionale è una parte importante della nostra identità; il lavoro ci offre soddisfazione, realizzazione dei nostri talenti, opportunità di crescita. Lo racconta bene Giorgio Piccinino in Il piacere di lavorare.
Tuttavia a volte utilizziamo il nostro ruolo come *maschera e armatura*, per difenderci dalla nostra vulnerabilità e dalle nostre paure. Non sono capo, faccio il capo. Non sono coach, trainer, formatore, ma utilizzo il ruolo per “tirarmi fuori” dal confronto con gli altri e con la difficoltà del momento.
Qualche esempio per spiegare quello che intendo. Di fronte a un cambiamento difficile, il capo può essere tentato far valere la propria autorità, il ruolo come maschera, per imporre: “da domani si fa così”.
Oppure, il capo può riconoscere la difficoltà e allo stesso tempo utilizzare la propria esperienza, competenza, solidità per sostenere e guidare: “lo so che è impegnativo, lo è anche per me, ma è necessario per questo e questo motivo. Perciò da domani faremo così… Vediamoci per verificare come va e per valutare come migliorare se necessario”. Assegnare compiti, delegare, verificare, controllare – tutto ciò che è compito del capo, insomma, mettendosi in gioco completamente. E utilizzando anche la propria vulnerabilità e le difficoltà come strumento di empatia con i collaboratori.
Ciao Emanuela,
grazie per aver approfondito il tema dell’interpretazione dei ruoli e per il libro che suggerisci, me lo procurerò sicuramente!
Trovo interessanti le espressioni “Uso del ruolo” e la distinzione che fai tra “Sono un capo e Faccio il capo”. Per quanto riguarda la prima, trovo personalmente importante considerare il ruolo come uno strumento necessario e funzionale dal punto di vista socio-organizzativo per il raggiungimento degli obiettivi comuni. Ma è proprio il “come” si utilizza questo strumento nell’ambito delle proprie responsabilità e dei propri obiettivi. che può portarci al benessere o al malessere personale. Concordo con te che la via per il vero benessere sia quella di non utilizzare il ruolo come maschera per nascondere la propria vulnerabilità. Tuttavia credo anche che il sentirsi capo (e qui faccio riferimento alla seconda espressione da te usata), il pensare: “io sono capo, io sono coach, io sono venditore…” crea per definizione una condizione di separazione, di allontanamento dall’altro in quanto ci definisce proprio gli uni rispetto agli altri. Pensare invece, come ben dici, che “siamo tutti sulla stessa barca, con le stesse vulnerabilità, navigando insieme verso una meta comune” può portarci alle più vere e profonde soddisfazioni professionali.
Bisogna “solo” fare attenzione a non identificarci nel ruolo che scegliamo o che ci viene affidato, ma considerarlo come uno strumento efficace per il raggiungimento degli obiettivi. Come direbbe Eckhart Tolle, proprio come l’ego non dovrebbe identificarsi con la mente, ma usarla consapevolmente per il raggiungimento del benessere più alto. Cosa molto difficile da fare nel mondo di oggi… ma non impossibile!
Grazie per avermi arricchito ancora una volta.
Grazie a te, Alex, e con l’occasione aggiungo due link per completare e chiarire: il libro di G. Piccinino ( https://www.piccininogiorgio.it/main/libreria/02.htm) e un breve filmato sull’empatia, tratto dalla conferenza di B. Brown: https://www.youtube.com/watch?v=1Evwgu369Jw&feature=youtu.be
Scusa Emanuela, mi correggo nel riferimento alle parole di Tolle, la stanchezza di ieri sera mi ha giocato uno scherzetto… Intendevo dire che l’identificarsi in una forma (di capo, di trainer…), alimenta l’ego, il che, come dice Tolle rende più difficile l’instaurarsi di relazioni sane e costruttive.
“Quando interpretate un ruolo siete inconsapevoli. Quando vi scoprite ad interpretare un ruolo, quel riconoscimento genera uno spazio tra voi e il ruolo stesso.E’ l’inizio della liberazione dal ruolo”.
Ed aggiungo per concludere, l’inizio di nuove e infinite possibilità.