Il sistema organizzato del Retail ha bisogno di CAPI.
Consapevoli di come agire questo ruolo.
Un tema sempre molto presente nelle discussioni aziendali, nelle richieste di consulenza e formazione, nei vari dibattiti sul web (per esempio LinkedIn) è:
Cosa vuol dire fare il CAPO? Come farlo con efficacia?
Molto spesso la rappresentazione del ruolo viene proposta in termini di contrapposizione tra lo stile da Manager e quello da Coach, oppure tra stile da Manager e quello da Leader. Anche le immagini utilizzate per descrivere questi stili evidenziano una contrapposizione, facilmente riscontrabile facendo una ricerca per immagini, su qualunque motore di ricerca, delle parole Manager e Coach oppure Manager e Leader.
Troverai immagini in cui il Manager è rappresentato come un despota, per esempio con il megafono in mano che urla ai suoi collaboratori (spesso vittime di questo stile) mentre gli altri due stili vengono raffigurati con immagini di grande apertura, supporto, disponibilità all’ascolto, lungimiranti. Con la chiara intenzione, almeno dal mio punto di vista, di influenzare la nostra preferenza verso stili che abbiano una dimensione che “nobiliti” il ruolo del CAPO.
Uso non a caso questo aggettivo perché credo che si voglia far emergere come lo stile da Coach o Leader sia più nobilitante e, di contro, rendere quello da Manager ormai superato.
Anche nel film BABY BOSS, di cui propongo un esempio in questa spezzone dal titolo: Una riunione straordinaria si rappresenta questo bambino nato CAPO come quello da temere, impeccabile e molto determinato. Agli occhi del fratello uno da combattere!!
Sarà davvero così?
Prima di definire una graduatoria d’importanza tra i tre stili ritengo sia doveroso un approfondimento su quello che considero il punto di svolta: come restituire dignità alla parola CAPO.
Conosco molta gente che fa fatica a riconoscersi in questa definizione e altri considerano offensivo essere definiti come CAPI. Negli anni ho potuto osservare come molti Store Manager facciano fatica a considerare le persone con cui lavorano come propri collaboratori, in favore della definizione “i miei colleghi”. Un atteggiamento che comporta non pochi limiti in termini di efficacia.
Per aiutare a sgombrare il campo da interpretazioni personali, quindi opinabili, credo possa aiutare far riferimento alla definizione della parola CAPO presa dal dizionario Treccani: Persona che dirige, che è posta al comando di altre persone (in quanto il CAPO, cioè la testa, è la parte principale e più nobile del corpo; in questo significato la parola può essere invariabilmente riferita, come titolo, anche a donna che eserciti tale funzione).
Altrettanto vale per la parola BOSS presa dal Cambridge Dictionary: The person who is in charge of an organization and who tells others what to do (la persona che è responsabile di un’organizzazione e che dice agli altri cosa fare).
CAPO. Come mai molti vivono con disagio questa parola e questo ruolo?
Credo molto dipenda dal fatto che il ruolo di comando trascina con sé alcuni effetti indesiderati nelle persone che lo impersonano. E’ indubbio che nella nostra cultura il Comandare evoca condizioni di Sudditanza, una condizione che ha un chiaro riferimento di sconfitta per chi subisce il comando.
Ecco quindi il parallelo depotenziante, che non fa vivere il ruolo con positività. Se io sono il CAPO e faccio il Manager allora comando e gli altri mi vedono come un Prevaricatore. Se non faccio il CAPO, ma il Coach oppure il Leader, ecco che la mia figura agli occhi degli altri recupera valore.
A questo punto è necessaria una verifica delle tesi di partenza. Davvero fare il CAPO significa prevaricare? Utilizzare lo stile da Manager è così negativo? E come è possibile attribuire un incarico ad un collaboratore senza cadere in questo tranello?
Per confutare la tesi condivisa dai più, ritengo sia importante arricchire la definizione del ruolo in modo da aiutare gli interessati a sentirsi CAPO senza svalutazioni, provando anzi ad arrivare a pensare ed agire una dimensione completa che tenga insieme gli stili da Manager, da Coach e da Leader.
Per farlo ho deciso quindi di aggiungere alla definizione della parola CAPO, condivisa in precedenza, un approfondimento in questi termini: il capo è colui che raggiunge i risultati inerenti la propria funzione, creando le condizioni per ottenere prestazioni efficaci da parte dei suoi collaboratori.
Un’integrazione che ci traghetta inesorabilmente verso una domanda strategica.
Cosa può fare un CAPO per creare le condizioni che determinino prestazioni efficaci da parte dei collaboratori?
Con il focus sulla prestazione efficace dei collaboratori, dobbiamo orientare consapevolezza ed energia verso due elementi che permetteranno di decidere quale stile utilizzare:
- Cosa voglio ottenere? Quale è il mio obiettivo?
- In quale momento professionale è il mio collaboratore? Quali sono le sue competenze?
Lo schema che ho preparato e che potete vedere qui di seguito, rappresenta nel dettaglio i passaggi chiave da seguire per creare le condizioni per una prestazione efficace.
STILE MANAGER= manu agere – guidare per mano
Un CAPO che voglia chiedere ad un collaboratore lo svolgimento di una specifica attività può utilizzare lo stile Manager= manu agere – guidare per mano.
Nello schema in alto sono evidenziate in blu tutte le attività da realizzare prima della prestazione e a valle della stessa, comprese anche quelle di organizzazione e pianificazione delle singole attività. Questo stile è basilare anche se spesso, per le cose dette in precedenza, viene sottovalutato o non agito, producendo come diretta conseguenza il fatto che i collaboratori non abbiano delle linee guida chiare su cosa fare e come farlo.
Definire in modo chiaro l’obiettivo, attribuire l’incarico coerentemente con le competenze del collaboratore e pianificare l’organizzazione di supporto, permetteranno di aumentare le possibilità che la prestazione venga agita con successo. Verificare i comportamenti messi in atto e controllare i risultati ottenuti, permetteranno al CAPO di confermare (con un feedback positivo) o modificare (con un feedback costruttivo) la prestazione del collaboratore. Dalla mia esperienza, questo processo è quello più frequentemente utilizzato per ottenere i risultati attesi.
È molto sano che un CAPO non dimentichi questa sua responsabilità e che la agisca con consapevolezza.
STILE COACH= supporto – valorizzazione e sviluppo
Lasciando invariata l’attività da far svolgere, in funzione delle risposte alle domande “Cosa voglio ottenere?” – “Quale è il mio obiettivo?”, “In quale momento professionale è il mio collaboratore?” – “Quali sono le sue competenze?” il CAPO consapevole può utilizzare lo stile da Coach, prima di completare il percorso con quello da Manager.
Coach= supporto, valorizzazione e sviluppo.
Lo stile da Coach: nell’immagine, in rosso, sono definiti i punti di attenzione da presidiare se si vuole attivare questo stile. Con una comunicazione caratterizzata da domande aperte e un ascolto attivo, si valorizzano sia il ruolo del collaboratore che il suo contributo, sviluppando in parallelo una motivazione a fare e a fare bene, anche grazie alle indicazioni dello stile da Manager.
STILE LEADER da To lead = guidare
In molte occasioni la risposta alle domande “Cosa voglio ottenere?” – “Quale è il mio obiettivo?” – “In quale momento professionale è il mio collaboratore?” – “Quali sono le sue competenze?” può indurre il CAPO consapevole, lasciando sempre invariata l’attività da realizzare, ad utilizzare lo stile da Leader: To lead = guidare.
Nell’immagine sono evidenziati in colore verde i punti di attenzione che è preferibile presidiare se si vuole attivare questo stile.
Prima di parlare dell’attività (o incarico da realizzare) è indispensabile collocarla all’interno di una visione più ampia, così da permettere al collaboratore di cogliere quelle dimensioni che non sono così immediate da osservare e che, grazie ad una strategia coerente, possono determinare il successo. Con molta probabilità questo approccio alla relazione lavorativa determinerà un desiderio di appartenenza ad un progetto più ampio, producendo un contesto d’ispirazione all’interno del quale agire la motivazione personale.
L’utilizzo di questo stile può essere, in alcuni casi, la premessa per chiedere a qualcuno di svolgere un incarico, senza necessariamente utilizzare lo stile da coach.
In conclusione possiamo dire che lo stile da Manager è strategico in quanto determina cosa fare e il perchè sia importante che il CAPO ne faccia uso frequentemente. In molti casi, invece, può essere efficace utilizzare lo stile da Coach perchè influenza il modo con cui le persone contribuiscono a fare le cose. In situazioni più particolari può essere strategico utilizzare lo stile da Leader per chiarire il perché di alcune scelte e attività in un contesto più ampio, non sempre di immediata comprensione.
Gentile Dottor. Fedele,
Oggi ho letto finalmente un articolo che rispecchia totalmente le mie idee sulla gestione dell’ assistenza al cliente.
In questo periodo sto sostenendo dei colloqui e mi trovo in grave difficoltà in quanto alla domanda: “come approcci un cliente”, rispondo che bisogna salutarlo e dargli le giuste tempistiche per guardare il prodotto, avvicinandosi gradualmente rispettando la sua prossemica ed interagendo con tranquillità magari menzionando i differenti colori in cui si trova il prodotto.
Se un cliente entra in uno store ha un’ intenzione anche inconsapevole all’ acquisto,ed il nostro compito è trasformare quell’ intenzione in vendita ma se noi lo aggrediamo subito, tutto ciò che di primo impatto abbiamo è :”sto solo guardando” una risposta palese che in pratica ci dice “lasciami il mio tempo ed il mio spazio”.
Nulla, non vengo presa, perché vogliono che appena il cliente entri, io lo aggredisca con l’ obsoleto (e secondo la mia esperienza nella vendita e come cliente) e ansiogena frase: “posso aiutarla? ” dopo nemmeno che il cliente varchi la soglia.
Credo che le tecniche di vendita siano basilare ma noi esseri umani non siamo formule matematiche e come tali noi assistenti di vendita dobbiamo plasmarci con un tipo di comunicazione verbale e non a seconda del cliente che abbiamo di fronte.
Ho messo in pratica con successo questo approccio, ma purtroppo mi scontro con una realtà nella selezione del personale e gestione del cliente obsoleta, ove poi non si capisce ancora l’ importanza dell’ identità di gruppo e della sua serenità che si riflette sul cliente.
Insomma tutto bello ma poi la realtà è ben dfiversa…
Buongiorno Gentile Manuela,
la ringrazio a nome di CARETAIL del tempo e dell’attenzione che ha dedicato rispetto alla lettura dell’articolo e alla scrittura di un suo commento.
Restiamo colpiti dalla sua visione del processo di acquisto; cambiare punto di vista mettendosi in quello del Cliente non è per nulla scontato e lei sembra farlo dopo un processo di apprendimento fatto di sperimentazione sul campo.
Ci colpisce la doppia tensione che traspare dal suo commento, da un lato un entusiasmo verso il ruolo dello Store Seller ed un suo importante lavoro sulla consapevolezza e sulla sperimentazione di comportamenti relazionali efficaci e dall’altro mi arriva tutta l’amarezza prodotta da una ricerca di occupazione che non ha ancora portato al successo sperato.
In aggiunta mi colpisce la chiarezza che ha della sua efficacia in Store. Lei ha potuto verificare l’efficacia dei suoi comportamenti in modo tangibile rispetto ai risultati ottenuti.
Non siamo esperti di selezione del personale, tuttavia lavorando da molti anni nel Retail le possiamo dire che gli Store Seller efficaci e consapevoli, sono preziosi e per tanto difficili da vedere anche quando li si ha davanti.
Le possiamo solo augurare di trovare chi saprà apprezzarla, e soprattutto le auguriamo di trovare il contesto in cui possa esprimere il suo potenziale.